martedì 12 febbraio 2013

Quando sono debole è allora che sono forte



Devo ammetterlo. Anche io ieri mattina, quando mi è arrivata la notizia della rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino, sono rimasto di sasso. Sarò un po’ duro ma mi sono sentito abbandonato. Sono legato a questo papa in modo molto particolare, sono cresciuto nella fede sotto il suo pontificato. Questa è diventata matura in questi ultimi otto anni e in quest’arco di tempo ho capito la mia vocazione cristiana. Mi ero legato alla persona del papa in modo particolare. Il suo richiamo ad una fede coerente e concreta per contrastare un relativismo imperante anche tra noi cattolici è diventato, per me, motivo di una seria riflessione. La sua chiarezza nello spiegare i contenuti della nostra fede è stata strumento di crescita personale che, come dice p. Maurizio Botta, mi spingono a pensare "come si fa a non amare Benedetto?"
Tuttavia, in questo stato d’animo triste, in questa situazione di spaesamento, si è accesa una scintilla. Un guizzo improvviso mi ha fatto capire la reale portata di questo evento. Quindi mi sono chiesto “Cosa significano per me le ‘dimissioni’ (che brutta parola) di Benedetto XVI?”. Lascio stare tutti quelli che lo criticano per “non aver saputo portare la sua croce” come ha fatto il Beato Giovanni Paolo II (che poi, in genere, sono gli stessi che dicevano che il papa polacco doveva dimettersi per il suo stato di salute) e cerco di trovare una motivazione altra (e alta) a questo gesto.