giovedì 11 aprile 2013

Il cammino comunitario


Qualche giorno fa mi sono trovato a scrivere una riflessione sul perno della nostra vita cristiana: la preghiera quale unico mezzo per contattare Dio. Stavolta vorrei concentrare l’attenzione su un altro perno della vita cristiana: il cammino comunitario. Intendo con questo termine l’agire non da soli, il camminare insieme ai nostri fratelli. La comunità cristiana ha senso, infatti, solo nel momento che si fa da accompagnatrice alle azioni del singolo. La comunità agisce come uno specchio nel quale ci si rende conto delle opere buone o non buone commesse dal singolo. La comunità non vuole essere (e non deve essere) un controllore delle nostre azioni ma lo strumento principale di confronto.
Sono tanti gli esempi nelle scritture dove viene messo in evidenza l’importanza della comunità nella cristianità. Già nell’Antico Testamento, nel racconto della creazione, per ben due volte si mette in evidenza che l'uomo non è stato creato da solo ma avuto una compagnia. Più avanti si nota che le vicende del popolo eletto sono incentrate sulla comunità. È l’intera comunità che si sposta verso l’Egitto ed è la stessa comunità che, liberata, torna nella Terra Promessa. Non solo. Per quanto riguarda il non agire da soli, sempre nell’AT, possiamo notare come era usuale il ricorrere al consiglio dei profeti da parte dei sovrani d’Israele. Quei loro fratelli più saggi, con i loro consigli, erano l’oracolo della volontà di Dio. Da soli non possiamo capirLa, abbiamo bisogno degli altri.

Nel Nuovo Testamento? Che posto occupa la comunità? Gesù ci ha indicato la via invitandoci a pregare “in due o in più” e quando mandò i discepoli in giro per la Palestina li mandò “a due a due”. Bisogna essere almeno in due, perché? Forse semplicemente perché dove non arriviamo noi può arrivare il fratello che ci affianca. Forse semplicemente perché il fratello ci può far rendere conto dove sbagliamo. La Chiesa ha una vocazione comunitaria. Lo notiamo già dalla sua nascita nel cenacolo dove dodici uomini, con i difetti della nostra razza umana (mi consola sempre sapere che non erano super uomini e che avevano gli stessi difetti miei), sono chiamati a fondarla in Cristo. San Paolo, poi, ci ricorda come la Chiesa è paragonabile ad un corpo in cui ogni persona è un membro con la sua funzione al cui capo c’è Cristo. Quale migliore metafora per indicare la nostra vocazione comunitaria?

E oggi? Oggi le nostre comunità sono sempre lo strumento del confronto, del mettersi in discussione. Dove con l’Amore possiamo essere da esempio per i nostri fratelli, dove ci si può confrontare per capire la Volontà di Dio. La comunità è lo strumento che Dio ci dona anche per capire che non possiamo fare tutto da soli. Non siamo superuomini ma semplicemente persone chiamate a mettere in pratica i propri talenti che insieme a quelli degli altri si compensano. Però, ahimè, questo spesso non accade. Vogliamo fare sempre di testa nostra e spesso sbagliamo allontanandoci (e facendo allontanare) dalla Volontà di Dio. Non ci rendiamo conto dell’importanza del confronto in particolare con un direttore spirituale (i moderni profeti azzarderei). Vediamo queste cose come qualcosa di più.
Ma il confronto è importante non solo per ciò che riguarda la nostra vita comunitaria ma anche per la nostra quotidianità. Quante decisioni prendiamo da soli e dopo ci sentiamo pentiti? Quante volte non ci sentiamo in una condizione di grazia per una nostra decisione nel lavoro, in famiglia e nella vita sentimentale? Siamo stati creati non per stare o agire da soli... ma ce ne rendiamo conto?

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