giovedì 4 aprile 2013

Quella notte a Tor Vergata non c'ero



Quella notte a Tor Vergata io non c’ero. Quella notte ero nella mia casa al mare con la mia famiglia e guardavo in televisione tutti quei giovani che si erano riuniti a Roma per incontrare il Beato Giovanni Paolo II. Li osservavo con un misto di invidia e compassione. Io ero al mare e mai avrei rinunciato ai miei due mesi di vacanza. Certo, le suore del mio quartiere mi avevano invitato ma avevo rifiutato.
Avevo 17 anni e vivevo il mio essere cristiano andando la domenica alla messa e frequentando il coro (anche se stonato). La mia pratica cristiana si fermava con queste due cose e mi bastavano. Ero nel pieno della mia crisi adolescenziale e non capivo che vivere da cristiano fosse qualcosa di concreto e non astratto.
Poi sono cresciuto e durante il percorso della mia vita Dio mi ha fatto incontrare quei giovani. Sono stati miei educatori e miei compagni di cammino. Mi hanno aiutato a maturare nella fede e a fare le scelte più importanti. Alcuni sono sacerdoti o suore, altri sono madri e padri. Queste persone continuano ancora oggi a fare comunità con me e la cosa che mi colpisce è che non hanno perso l’entusiasmo di tredici anni fa. Alcuni di loro li ho conosciuti da poco ma il tempo, spesso, non è la variabile principale del cammino personale. Sono loro che mi hanno fatto capire il senso delle parole del Papa in quella notte del 19 agosto del 2000. L’invito di Giovanni Paolo II a non rassegnarsi oggi risuona nella mia mente e nel mio cuore. L’invito implicito (ma non più di tanto) a prendersi cura del bene comune mi spinge oggi ad andare oltre i miei schemi e a guardare quella concretezza che ci porterà a cambiare, non dico il mondo, ma almeno la nostra città. In che modo? Assumendoci le nostre responsabilità verso la società, lavorando concretamente e coerentemente per ciò che riteniamo giusto per noi e per le prossime generazioni.
Quella notte a Tor Vergata io non c’ero ma, grazie a quei giovani che erano presenti, la vivo ogni giorno.

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