mercoledì 24 aprile 2013

Una ragione per vivere



La buca non era ancora abbastanza profonda.

Sotto il cielo limpido di una calda giornata di fine aprile l’aria stava divenendo irrespirabile e la polvere secca che si alzava da terra sporcava i vestiti, entrava nella gola e asciugava le lacrime. C’era solo il silenzio, asciutto e tagliente, ad assistere a quella scena, a quegli istanti interminabili di angoscia e rassegnazione che sembravano piombati lì all’improvviso.

Ancora di più, non basta.

Gocce di sudore scendevano giù per la fronte di Mario, il caldo e la paura non smettevano di bagnare il viso e le mani che spostavano la terra. Continuava a scavare lui, interrotto solo dalla voce ferma e potente dell’uomo alle sue spalle che gli intimava di fare più in fretta.

Troppo poco tempo, bisogna muoversi.

Mario sapeva cosa stava per accadere. Di tanto in tanto tentava di guardare furtivamente il suo amico che, a pochi metri da lui, svuotava nervosamente e impietosamente la propria fossa. La guerriglia negli ultimi tempi era sempre più aspra, e i morti si contavano a centinaia.
Entro pochi minuti sarebbero entrati di diritto in questa infelice lista di povere anime incolpevoli.

Nessun rumore, nessuna voce, niente di niente. Non c’era nulla a cui aggrapparsi, al quale appendere le proprie speranze per fuggire da lì. Solo il respiro rompeva il silenzio. Un respiro pesante, affannato, profondo cercava di tenere a bada il cuore che sembrava pronto ad esplodere. Stava al suo posto, il cuore, ma batteva nella testa, nella gola, nello stomaco. Quello di Mario pregava, segretamente, di tirare fuori tutto il coraggio che poteva. Non per reagire, quello no, ma per vivere appieno e fino in fondo quei suoi ultimi istanti di vita.

I pensieri arrivavano nella mente all’improvviso, implacabili, e trasportavano una ventata di nostalgia, di tristezza e di amarezza. E tanto dolore.

Com’era lontana la sua Trento! L’aveva lasciata da un po’ di anni, ma spesso ne sentiva la mancanza. E ancora di più mancavano la mamma, il papà, Lucia, tutte le persone che lo amavano. I momenti difficili in quegli anni non erano mai mancati e la solitudine profonda era sempre lì pronta ad attenderlo. Ed ora vi si trovava faccia a faccia, accompagnata da un dolore troppo difficile da portare, tanto più per un ragazzo di ventisette anni.

La terra era stata rimossa per alcune decine di centimetri. Con il fucile sempre puntato alle spalle i due giovani si voltarono. Stavano lì, sul bordo delle due buche fresche e discretamente profonde, nell’attesa che accadesse qualcosa. E sapevano esattamente cosa.

Il terreno sotto i loro piedi era di solito abbastanza solido, ma la terra che avevano smosso li faceva sentire in una condizione di instabilità. Avevano percorso quelle piste decine di volte, e ogni volta con l’incognita di non sapere se sarebbero arrivati. Ma non potevano rinunciare, non potevano proprio. Nel villaggio non molto lontano da lì tanta gente li aspettava, trepidante e speranzosa. Dovevano andare, aspettavano proprio loro, che solo attraverso la loro presenza gli riempivano il cuore. Ma stavolta era diverso.

Finalmente qualcosa rompeva il silenzio. Un rumore assordante, poi un altro ancora. E assieme ad esso una fitta, improvvisa e lacerante, da qualche parte dentro di lui. Forse non una sola, forse di più...non lo sapeva, non riusciva più a capire. Mario non sentiva più il terreno sotto i piedi, cercava qualcosa da afferrare ma non la trovava. Riuscì solo a tirare fuori tutto il fiato che aveva e a chiedere perché. Pochi istanti e sbatté per terra, dritto dritto nella buca che qualche minuto prima aveva faticosamente svuotato.

Il dolore era insopportabile e per distrarsi tentò di acchiappare qualche pensiero. Gli sembrò di sentire le note della Primavera di Sinding che la signora Mercedes gli aveva regalato in Italia prima di partire per il Laos e che solo qualche giorno prima aveva desiderato suonare al suo pianoforte.

Intanto ascoltava gli uomini qualche centimetro sopra di lui frugare tra le sue cose. Li sentiva discutere nella loro lingua sul contenuto della sua sacca. Continuavano a chiamarlo “l’americano”, parlavano di corde con dei grani e pezzetti di ferro incrociati, di immagini di una donna con un bambino e di un uomo con il cuore fuori.

Una manciata di terra gli arrivò in faccia, poi un’altra ancora. Nel giro di pochi secondi niente più luce, niente più aria.

Pensò a quella notte di qualche anno prima quando, un po’ brillo per aver bevuto qualche bicchiere in più, scelse di diventare sacerdote. Pensò che era stato lui a decidere che, per quello in cui credeva, valeva la pena di vivere. E di morire.

E una serenità profonda gli riempì il cuore.



Racconto ispirato alla vicenda del Beato Mario Borzaga, Missionario Oblato di Maria Immacolata ucciso in Laos nel 1960.

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