Non voglio entrare in discussioni troppo teologiche perché poi non so uscirne e mi arrabbio. Tuttavia, in questi giorni ne sto ascoltando tante sul Sinodo sulla famiglia (lo so torno a rompere con questo argomento), in particolare sono preoccupato della reazione di tanti cattolici all’uscita della Relatio post disceptationem del cardinale Péter Erdő. Sono preoccupato perché stiamo rischiando di diventare come il fratello del figliol prodigo, come colui che non fa festa per il fratello che ha deciso di salvarsi e ritornare dal padre.
Comunque, ritornando alla Relatio e premettendo che questa è la relazione sulle riflessioni dei padri sinodali (che indicano prospettive che dovranno essere discusse dalla riflessione delle Chiese locali per l’ottobre del 2015) e che non è una lista di norme da attualizzare, vorrei esprimere un mio pensiero sui punti descritti in essa.
Per prima cosa non c’è ombra di dubbio che il contesto socio-culturale in cui vivono le famiglie è cambiato ed è diverso geograficamente. Nessuno può negarlo e nessuno può negare che la nostra società secolarizzata abbia creato un individualismo che spinge i singoli a prendersi cura della propria persona rischiando di vivere egoisticamente. Nessuno può negare che la Chiesa debba agire in questo contesto testoniando la salvezza.