sabato 7 maggio 2016

Fondamentalismo o integralismo?

La domanda che da il titolo a questo post (tratto da un capitolo della mia tesi di laurea magistrale) è molto pressante. Potremmo affermare che diventa insistente soprattutto dopo l'attacco di Al-Queda alle Twin Towers di New York e, per questo motivo, è strettamente legato, nel nostro immaginario, al mondo musulmano.
Il contesto storico nel quale il termine fondamentalismo si afferma, coincide con l’inizio della rivoluzione islamica iraniana e le gesta di alcuni movimenti (Fratelli musulmani per esempio) sia appartenenti al mondo sunnita sia a quello sciita. In questo senso notiamo che il termine non ha una conformità ideologica ma è comune a tutto l’Islam (Zubaida, 2010, pagg. 36-37).
Il termine fondamentalismo viene, spesso, confuso con quello di integralismo, con una versione dell’Islam “ortodossa, scritturale, tradizionale e che nelle sue applicazioni sociali e politiche non sia compromessa in alcun modo con le idee e le condizioni moderne e occidentali” (Zubaida, 2010, pag. 35). Entrambi hanno, ovviamente, significati e valenze diverse. 
La parola fondamentalismo proviene dalla lingua inglese. Infatti, la prima volta che fu usato questo termine era l’inizio del XX secolo nel sud degli Stati Uniti. Questa parola nasce con la pubblicazione di alcuni opuscoli che avrebbero dovuto aiutare la lotta contro l’interpretazione allegorica della Bibbia. Questa necessità nacque per far fronte a un’invasione (così la chiamavano i protestanti del sud degli USA) di cattolici provenienti dall’Italia meridionale e dall’Irlanda (Kepel, 2008, pag. 9). Il fondamentalismo indica, quindi, un ritorno alle origini rifiutando gli sviluppi e le vicende della storia successive al mito fondativo. 
L’integralismo, invece, è l’irrigidimento di un momento storico. In un editoriale di Civilità Cattolica (n. 3751 del 7/10/2006) si fa riferimento alla lettura che il cristianesimo e l’islam danno ai propri testi sacri. Il cristianesimo, rispetto all’islam riesce a dare una lettura storico-critica del testo, che non avviene invece nella religione musulmana. Nella Bibbia i testi sono ispirati, non c’è un intervento diretto della divinità per la stesura del testo. Il Corano, invece, non è un testo ispirato ma è stato dato direttamente da Dio e in cui l’uomo non interferisce affatto. Il testo è presentato come disceso dal cielo su Maometto che lo ha poi proclamato ai suoi contemporanei. Quindi, ci sono un libro sacro e una lingua sacra (l’arabo) e in questo senso la religione deve essere assolutamente propagandata in tutto il mondo perché è l’unica vera. Coloro che hanno preso questo messaggio in eredità dal profeta, dopo qualche decennio, lo hanno dettato a degli scribi. Sono stati poi i fedeli che hanno raccolto i vari testi e le varie pagine per farne un unico libro. Un processo durato due secoli che ha portato alla nascita di un unico testo: il Corano (Khalil Samir, 2011, pag. 32).
Per questo motivo, negli ultimi anni, l’Islam (in verità una minoranza di questo) sta tentando una lettura critica del Corano, nella quale si cerca di capire cosa c’è di umano e cosa c’è di divino. Questi studiosi sanno che il vero problema del testo è quello di una mancata interpretazione e devono scontrarsi con una lunga tradizione venendo accusati, spesso, di essere trascinati dall’Occidente. È il caso di Hirshad Manji. La giornalista musulmana che vive in Canada ha sempre cercato una rilettura del testo sacro musulmano da quando andava alla madrasa di Richmond nei sobborghi di Vancouver. Il problema del fondamentalismo è, per la Manji, un rischio per tutte le religioni monoteiste perché il loro universalismo può indurre i propri adepti all’intolleranza. Naturalmente esistono delle eccezioni in merito. I leader cristiani, per esempio, sanno che all’interno della comunità dei credenti possono esistere molteplici interpretazioni della Bibbia. Naturalmente queste non sono condivise ma sono comunque rispettate. Il tempo dei roghi degli eretici è, fortunatamente, terminato da qualche secolo. Anche all’interno della religione ebraica le interpretazioni della Torah sono esistenti e, a volte, anche promosse. La maggioranza dei musulmani, invece, considera il Corano un documento da prendere alla lettera soffocando così ogni forma di autonomia intellettuale (Manji, 2004, pag. 38). In più la stessa dinamica vale per la seconda fonte religiosa musulmana: gli hadith. Per Hirshad Manji il Corano necessita urgentemente di un’interpretazione perché al suo interno ci sono molteplici contraddizioni e questo spinge i musulmani osservanti a dover scegliere cosa dover mettere in risalto e cosa offuscare (Manji, 2004, pag. 45). Il rischio della mancata interpretazione, per la giornalista, è giungere ad una imitazione dell’intolleranza (Manji, 2004, pag. 78) causata da una mancata conoscenza del Corano.

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