lunedì 29 agosto 2016

Da aratori a buoi

Ieri ho scritto del fatto che il lavoro nobilita perché è tramite esso che l'uomo può raggiungere la sua dignità tramite uno stato di vita autonomo e indipendente. È tramite il lavoro che l'uomo è degno di attingere alle bellezze e alla vita che Dio vuole donarci. Ho ricordato che San Paolo ci ha detto che "chi non vuole lavorare neppure mangi" (2TS 3,10).
Tuttavia, come qualcuno mi ha fatto notare, il lavoro rischia di farci diventare delle bestie. Esso, infatti, non può essere l'unica nostra ragione di vita. Questo è un peccato contro Dio. Gesù ci ricorda che "non si può servire Dio e Mammona" (Mt 6,24). Vivere solo per il lavoro ci trasforma in esseri che non sono in grado di amare. Quante famiglie sfasciate perché il lavoro viene messo al primo posto rispetto al marito o alla moglie (per non parlare del rischio di trascurare i figli). Quante famiglie distrutte perché spesso non si lavora per vivere ma per sopravvivere. Quante amicizie non coltivate e quanti bisogni di altri non visti perché "ho da lavorare".
È vero, il lavoro, quando è vissuto come un feticcio e non come vocazione, rischia di farci diventare bestie perché ci fa perdere di vista la sua reale funzione: servire la collettività e trovare in esso un degno sostentamento proporzionale all'attività svolta.
Il lavoro è importante.  La nostra Costituzione ci ricorda che "l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Tuttavia, mi piacerebbe se essa fosse fondata su altro, non può essere questo il valore fondamentale (anche se è un aspetto importante) per il quale vivere e sul quale fondare una società. Si rischia che da aratori diventiamo buoi.

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