giovedì 16 febbraio 2017

Educarmi all'amore

Il mio mestiere, quello di educatore, è uno dei più belli al mondo. Lo è perché mi fa lavorare a contatto con le persone. Quello di educatore è un lavoro affascinante ma da tanti denigrato e sottovalutato perché non si rendono conto della grande responsabilità di cui ne è pregno. All'educatore, infatti, vengono affidate persone, ragazzi nel mio caso. Con essi sono chiamato a tessere un rapporto di fiducia. Non esiste lavoro educativo senza che tra educatore ed educando non si tessa fiducia. Tuttavia, questo lavoro "tessile" inizia spesso con difficoltà e incomprensioni che possono essere causate dalle differenze: età, origini sociali e culturali. Il mio mestiere è difficile perché è un lavoro di accompagnamento: bisogna stare accanto a chi decide di fidarsi di me (operazione che esclude la costrizione).
Il mio lavoro è duro perché non è facile stare accanto ai ragazzi che incontro (o quelli che ho incontrato); perché è difficile pensarli con uno sguardo d'amore. Amore... non ho paura di usare questa parola perché ogni azione educativa ha come fulcro l'amore. Come posso entrare in empatia con chi mi viene affidato se non amo la sua storia? Come posso ascoltare un problema o una difficoltà se la mancanza di amore chiude le orecchie del cuore?
Questo amore, tuttavia, non esclude un'autorità. Questa, però, deve tendere la mano a chi, probabilmente, più volte è stato deluso dalla vita o dagli adulti che lo circondano. Questa mano richiedente, molte volte, cerca con il silenzio un appiglio cui aggrapparsi. Per questo ci vuole amore: con gli occhi del cuore chiusi non si riesce a vedere nessuna richiesta d'aiuto.


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